L'affascinante personaggio creato da Valerio Evangelisti - Uno splendido connubio tra fantascienza, horror, giallo, romanzo storico e attualità.

EYMERICH, FANTASTICO INQUISITORE

Gian Filippo Pizzo

Parlare di Nicholas Eymerich, l'Inquisitore creato da Valerio Evangelisti, vuol dire parlare di un vero e proprio boom editoriale. Certo, un boom ristretto (ma non poi tanto, come vedremo) all'ambito della fantascienza, delle pubblicazioni da edicola, ma pur sempre un successo senza precedenti nel quadro della produzione specializzata italiana.

La prima volta che sentii parlare dell'autore fu nel 1993, quando Giuseppe Lippi, curatore di Urania, mi disse che Evangelisti aveva vinto il premio per un romanzo inedito bandito dalla stessa rivista, assicurandomi che si trattava davvero di un ottimo romanzo (Nicholas Eymerych, Inquisitore sarebbe stato pubblicato l'anno dopo nel numero 1241 di Urania). Ero curioso perché non mi risultava che Evangelisti avesse già pubblicato qualcosa, nemmeno un raccontino su qualche rivista ciclostilata, ma divenni ancora più curioso quando Lippi mi raccontò che l'autore aveva già partecipato a due edizioni del Premio Urania, e non aveva vinto solo perché i suoi romanzi erano stati giudicati inadatti per il pubblico della rivista, pur essendo ben scritti. Mi impressionò la costanza di questo scrittore sconosciuto, che invece di deprimersi o perlomeno di cambiare soggetto, aveva avuto la forza di riproporre per altre due volte lo stesso personaggio e la stessa ambientazione (con l'avvertenza, nell'ultimo caso, di inserire elementi più fantascientifici). Mi accostai dunque a quel fascicolo di Urania (che, per caso, conteneva in appendice un mio articolo) e devo dire che ne rimasi davvero folgorato.

La storia era originale, i personaggi ottimamente delineati e, in particolare, il protagonista era veramente indovinato; l'ambientazione storica era pressocché perfetta, la trama scorrevolissima e coinvolgente, grazie alla tecnica della narrazione alternata. Lo stile era poi curatissimo, senza la minima sbavatura, con un'aggettivazione intelligente, una scelta di parole sempre appropriata, i dialoghi lucidi. Insomma, una piacevolissima sopresa, decisamente al di là delle mie aspettative.

La storia di Eymerich sarebbe potuta finire qui, con la soddisfazione per Evangelisti di aver vinto il premio e pubblicato il romanzo, ma evidentemente i meriti che io stesso ho riscontrato sono condivisi da altri lettori e, per fortuna dell'autore, se ne accorge il direttore di Urania, Stefano Magagnoli. Infatti Eymerich Inquisitore ha venduto più di ogni altro libro pubblicato nella famosa collana di fantascienza, compresi i mostri sacri americani: a fronte di una media di vendite di 8-10 mila copie, il romanzo di Evangelisti ne ha venduto 15 mila. Da qui la decisione di pubblicare uno dei due romanzi precedenti (Le catene di Eymerich, Urania n. 1262, 1995), rompendo la tradizione che voleva la pubblicazione di un solo romanzo italiano all'anno (appunto il vincitore del premio). Seguirà l'anno dopo Il corpo e il sangue di Eymerich (Urania n. 1281), ma intanto si moltiplicano recensioni, articoli, interviste e di Evangelisti si occupano Avvenimenti, L'unità e altri quotidiani, mentre Il venerdì di Repubblica nell'estate del '96 pubblica a puntate Il mistero dell'Inquisitore, che poi sarà edito in volume ancora da Mondadori, ma stavolta non su Urania bensì nella collana "Superblues", una collana rilegata non riservata alla narrativa di genere: e questo è un grosso sintomo del successo del personaggio.

Ma perché piace il personaggio di Eymerich, e, più in generale, perché piacciono i libri di Evangelisti?

Diciamo intanto che Nicolas Eymerich è un personaggio storico, realmente vissuto, anche se Evangelisti lo ha completamente trasformato. Nacque a Gerona, in Spagna, attorno al 1320, e nel 1357 fu nominato Inquisitore generale del Regno di Aragona, ma lo zelo eccessivo con cui conduceva le sue inchieste lo costrinsero nel 1376 all'esilio. Tornato in Spagna nel 1378, fu avversato dai lullisti (che giudicava eretici) e si rifugiò presso il Papa ad Avignone; rientrò in Aragona definitivamente nel 1397, per morirvi due anni dopo. La sua opera più importante, pubblicata solo nel 1503, fu un Manuale dell'Inquisizione che ebbe molto successo tra gli addetti ai lavori (ne esiste un'edizione critica francese del secolo scorso).

Partendo dalle poche note biografiche disponibili ed immaginandone il carattere, Evangelisti è riuscito a disegnare il suo eroe in maniera egregia: il suo Eymerich è un personaggio vero, reale, credibile. Non simpatico, non buono (ma nemmeno malvagio senza scopo, come i cattivi dello schermo o del fumetto), acquista una personalità vivida proprio per essere oltre le contraddizioni che il suo stato gli impone: nel senso che contraddizioni dovrebbe averne, ma non ne ha, tutto compreso nel suo ruolo di difensore della fede ed avversario del male. In fondo, un idealista, spesso feroce ma mai meschino. Va poi detto che l'autore si preoccupa di dare a Eymerich una personalità attendible, per questo il personaggio, invecchiando, diventa più complesso, tormentato e meno sicuro di sé. Ha cioè un'evoluzione caratteriale, diversemente da quanto avviene per i classici della narrativa popolare, da Fantomas a James Bond, che sono sempre graniticamente uguali.

La statura del protagonista, e qui rispondo alla seconda domanda, non sarebbe sufficiente a fare di Eymerich un personaggio di culto, se a supportarla non ci fosse l'indovinato modulo narrativo che Evangelisti ha adottato, mutuandolo da vari esempi di letteratura feuilleton ma con un elemento di originalità che lo contraddistingue. La classica 'narrazione parallela', che ci racconta le avventure dei vari personaggi separatamente, per poi arrivare insieme allo scioglimento finale, è qui arricchita da un elemento particolare, quello della dislocazione temporale. Sono infatti tre o quattro i momenti che Evangelisti inserisce nella trama dei suoi romanzi. Uno, medioevale, in cui Eymerich è alle prese con un mistero o una manifestazione del male che è suo compito indagare e distruggere. Gli altri, ambientati in epoca contemporanea o storicamente a noi più vicine, oppure nel futuro, nei quali si ha una manifestazione che è comunque conseguente a quella medievale (il lettore lo capisce quasi subito, ma i protagonisti non possono saperlo). Alla fine, si ha uno scioglimento della vicenda in cui tutto viene, incredibilmente, giustificato, grazie a qualche marchingegno narrativo che l'autore riesce ad architettare (con mostruosa bravura).

Vorrei comunque rimarcare ancora la bontà della ricostruzione. Di solito, il medioevo nella fantasy storica viene mitizzato, oppure viene intellettualizzato come accade ad esempio ne Il nome della rosa. Evangelisti invece riesce a renderne da un lato la quotidianità, cosa che fa anche, altro esempio, Ellis Peters nella sua serie di gialli medievali dedicati a Fratello Cadfael, mentre dall'altro lo trasfigura fantasticamente (e qui viene in mente un altro bravissimo scrittore italiano, il Giuseppe Pederiale de Il tesoro del bigatto).

Prendiamo il romanzo che personalmente preferisco, Le catene di Eymerich, dove c'è anche ben presente una valenza politica che stranamente non è stata evidenziata da altri recensori. Qui l'Inquisitore si trova ad affrontare un gruppo di esseri deformi (oggi li definiremmo mutanti) collegato ad un'eresia valdese. Altri momenti del romanzo riguardano gli esperimenti genetici degli scienziati tedeschi agli ordini di Hitler, un contrabbando di organi in uno stato sudamericano (Evangelisti ne scriveva quando ancora la cronaca non se ne era occupata), gli orrori del regime rumeno di Ceausescu e quelli della ex Jugoslavia nei nostri giorni (manca una parte ambientata decisamente nel futuro, come in Eymerich Inquisitore, dove però mi è sembrata leggermente stonata). La spiegazione finale riesce mirabilmente a collegare il tutto in maniera logica e conseguente, con un escamotage che non rivelerò. La miscela di thriller, gotico, romanzo di ambiente medievale, denuncia contemporanea, futuribile, noir; l'incontro, in altre parole, dei temi della narrativa popolare con l'impegno anche linguistico della letteratura colta (presente in modi diversi in altri giovani scrittori italiani), risulta davvero vincente, se supportata dall'abilità narrativa e dalle qualità stilistiche.

Come appunto accade per l'Eymerich di Valerio Evangelisti.

IL FUTURO DI EYMERICH

I primi tre romanzi dell'Inquisitore, ormai irreperibili in edicola, saranno ripubblicato da Mondadori in versione rilegata, mentre contemporaneamente all'uscita di questo giornale dovrebbe arrivare in libreria, nella collana "Superblues", il quinto romanzo della serie, di cui al momento in cui scriviamo non sappiamo il titolo esatto: Evangelisti lo aveva intitolato La quinta essenza di Eymerich, ma forse l'editore ha modificato il titolo in Eymerich e la campana di fuoco.

L'anno prossimo uscirà Eymerich e la scala per l'inferno e nel frattempo Evangelisti sta lavorando al settimo romanzo della serie, provvisoriamente intitolato Il castello di Eymerich. Intanto, è annunciata l'edizione francese di tutti questi romanzi.

Ma Evangelisti non si ferma qui: scrive anche racconti che sono sempre pubblicati da Mondadori, in Urania o nei Millemondi, e dirige una rivista semestrale dedicata al fantastico, reperibile in libreria, Carmilla, molto interessante.

Chi volesse essere costantemente aggiornato sappia che esiste anche un "sito" Internet dedicato ad Eymerich, all'indirizzo: www.geocities.com/SunsetStrip/3980.

L'inquisizione nel cinema del fantastico

Roberto Chiavini

Quando Valerio Evangelisti viene intervistato, di solito gli viene chiesto se la sua fonte di ispirazione principale non sia Bernardo Gui, l'inquisitore che compare nel capolavoro di Umberto Eco Il nome della rosa (domanda che sottende da un lato una supervalutazione del romanzo di Eco, dall'altra un certo provincialismo dei giornalisti). La risposta è negativa, perché Evangelisti, da buon cultore del cinema fantastico, ha invece tenuto presente certe interpretazioni di Vincent Price, che ha caratterizzato splendidamente la figura dell'inquisitore in alcuni film degli anni Sessanta. Ecco perciò una piccola rassegna di inquisizioni cienamtografiche.

Ovviamente anche il cinema, in particolare quello orrorifico, non poteva lasciarsi sfuggire il potenziale offerto da Torquemada e compagni e non sono mancate le pellicole ispirate alle "gesta" degli inquisitori, siano essi relative alla vera Inquisizione spagnola che alla caccia alle streghe di matrice più anglosassone.

In particolare, il tema è legato ad uno dei grandi interpreti del cinema del terrore, Vincent Price, che ha interpretato il ruolo di uno di questi maniaci della vera fede in uno dei film diretti da Roger Corman ed appartenenti al suo celebre ciclo di trasposizioni di racconti di Edgar Allan Poe. Mi riferisco alla prima versione de Il pozzo ed il pendolo (1961), con la sceneggiatura di Richard Matheson, poco fedele al testo dello scrittore bostoniano, ma decisamente efficace nel legare, con un abile espediente, il tema dell'inquisizione a quello del tradimento e del ritorno dalla morte. Price è un nobile spagnolo, erede di un inquisitore del passato, tormentato dai sensi di colpa e dai fantasmi, che rievoca, in una mostruosa camera delle torture, le procedure del suo avo.

Più decisamente calato nel ruolo lo stesso Price risulta invece nell'ultima pellicola del giovane talento britannico Michael Reeves, prematuramente scomparso, Il grande inquisitore (1968), in cui l'attore interpreta Matthew Hopkins, un puritano cacciatore di streghe nell'Inghilterra della Guerra Civile.

Un personaggio del tutto analogo Price lo interpreta di nuovo nel film di Gordon Hessler Satana in corpo (1970), un giudice perseguitato dal fantasma di una ragazza che ha condannato al rogo come strega nell'Inghilterra del 1500.

Torquemada in persona, affidato alle cure di un Lance Henriksen mai così in ruolo, appare in tutta la sua crudele perfidia nel rifacimento de Il pozzo ed il pendolo (1991), prodotto dalla Full Moon di Charles Band e diretto da Stuart Gordon: questa volta la storia di amori e lascivia, circondata da nefandezze e tortute di ogni genere, si svolge effettivamente nel periodo della Grande Inquisizione spagnola, ed ancora una volta dal racconto di Poe prende poco più che il titolo. Una precedente, liberissima, versione del racconto di Poe è La tredicesima vergine (1967), pellicola tedesca diretta da Harald Reinl, che sfiora soltanto il tema in esame.

Altri titoli che possiamo rapidamente ricordare sono Il Boia scarlatto (1965), film italiano che ha per protagonista un folle torturatore, ispirato dalle nequizie dei secoli bui; Le streghe nere (1973, regia di Adrian Hoven), altro esempio di fantastico europeo (è una coproduzione franco-tedesca), che ci narra, con dovizia di dettagli insopportabili, le "avventure" di un crudele inquisitore del settecento tedesco; Il trono di fuoco (1970), esempio dei film che sapeva sfornare Jesus Franco, alle prese con il classico inquisitore-satiro del Settecento inglese; La tortura delle vergini (1969), ennesimo film europeo (diretto da Michael Armstrong), ambientato nell'Inghilterra del Seicento, con un inquisitore a caccia di "streghe" di bell'aspetto (il denominatore comune di tutte queste pellicole, non certo capolavori del genere horror, è la componente dichiaratamente sadica ed erotica che le pervade, così come tutta una parte del fantastico europeo di quegli anni).

Questo per quanto riguarda le pellicole horror/fantastiche, perché se si dovessero trattare anche quelle storiche l'elenco si allungherebbe, come dimostra appunto anche Il nome della rosa, portato sullo schermo da Jean-Jacques Annaud.

L'EPIDEMIA DI EYMERICH

Del personaggio di Nicholas Eymerich, il terribile inquisitore creato da Valerio Evangelisti, ci siamo occupati a lungo nel fascicolo dello scorso ottobre. Il caso vuole però che i romanzi su Eymerich più recenti ricadano anche nel'argomento odierno, ed è quindi con piacere che riserviamo un po' di spazio a questo protagonista ormai di culto.

A partire dal terzo romanzo della serie, La carne e il sangue di Eymerich (Urania), Evangelisti ha infatti iniziato a produrre una sua personale "storia futura" che vede il mondo del nostro prossimo tempo colpito da un'epidemia globale. Si tratta della "anemia falciforme", una malattia genetica presente nel sangue di alcune popolazioni negre, che un folle scienziato riesce a scatenare anche nella altre razze, con conseguente decadenza di tutte le civiltà. A partire da questo libro, anche i successivi vedranno la parte ambientata nel futuro (le parti situate nel medioevo e nella nostra epoca mantengono le caratteristiche già descritte) come conseguenza di questo dramma, con la nascita di nuove strutture politiche.

Tra l'altro, nel romanzo appena citato, è notevolissimo il finale, una ripresa, ponderata e resa in modo davvero eccezionale del classico racconto La maschera della morte rossa di Edgar Poe. Nel libro successivo, Il mistero dell'Inquisitore Eymerich (Oscar Mondadori), Evangelisti dà un vero sfoggio di abilità mescolando le sue trovate fantascientifiche con la "teoria orgonica" di Wilhelm Reich (e con la storia futura di un mondo ricostruito dopo la catastrofe pestilenziale): i colloqui onirici tra Eymerich e lo psicanalista Reich sono veramente degni di un manuale.

Ma in realtà tutto è apprezzabile nelle storie scritte da Evangelisti, dalla trama allo stile, dalla ricostruzione storica alle idee di base, al punto che la domanda che lui stesso si faceva in un'intervista (perché Eymerich risulta odioso a molti, ma qualcuno lo trova addirittura simpatico?) viene superata dalla semplice constatazione che forse a piacere non è solo la caratterizzazione del personaggio (del resto sempre più cattivo di libro in libro) ma tutto l'insieme dell'immaginario descritto da Evangelisti, supportato da stile e trama che per qualcuno sovrastano la stessa descrizione del personaggio principale.

L'ultimo romanzo del ciclo, Cherudeck. Un'avventura dell'Inquisitore Eymerich, è appena uscito mentre scriviamo in edizione rilegata presso Mondadori.

(G. F. P.)


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