Intervista a Valerio Evangelisti


Fabio Gadducci e Mirko Tavosanis


Dalla fine degli anni Sessanta in poi, nel nostro paese la narrativa di fantascienza è sempre stata dominata da autori stranieri, in massima parte di origine americana. La science fiction italiana più recente è sopravvissuta quindi quasi solo sulle pagine delle riviste amatoriali, senza mai riuscire a imporsi a un mercato più vasto, a tal punto che uno dei luoghi comuni dell'editoria specializzata è l'equazione "autore italiano uguale perdita sicura". A interrompere questo meccanismo è però arrivato un nome nuovo, l'esordiente Valerio Evangelisti: i suoi romanzi, tutti apparsi sulla più diffusa rivista italiana del settore, Urania, hanno riscosso un notevole favore presso il pubblico e hanno stabilito dei veri e propri record di vendite. Il lavoro di Evangelisti è tutto incentrato sulla figura di Nicolas Eymerich - un personaggio realmente esistito, inquisitore del regno d'Aragona nel quattordicesimo secolo - e mescola in modo inedito fantascienza e ricostruzione storica: una miscela che lo allontana sia dai classici prodotti italiani, sia da quelli d'oltreoceano (di cui l'autore stesso si considera "un semplice lettore occasionale, anche se attento").

D: Il suo romanzo d'esordio nella fantascienza, Nicolas Eymerich, inquisitore, è stato uno dei maggiori successi di vendite per la collana che lo ospitava...
R: Vero, e lo stesso è accaduto per il secondo, cosa forse ancor più significativa. Va però tenuto presente, per valutare il dato, che stiamo parlando di un bacino di lettori abbastanza ridotto, e che Urania non ha più le tirature di un tempo. Per essere più precisi, le vendite medie della rivista oscillano tra le 8000 e le 10.000 copie. Il mio primo romanzo ha venduto a tutt'oggi oltre 15.000 copie, il secondo, Le catene di Eymerich, più di 14.000. Sul terzo, Il corpo e il sangue di Eymerich, non possiedo ancora elementi, perché è uscito in edicola da poco.
D: In ogni caso, è un risultato più che notevole per un autore italiano. A cosa pensa che sia dovuto?
R: A una miscela tra caso e necessità. Sul caso non mi pronuncio. Per quanto riguarda la necessità, penso che i fattori del "successo"... e direi che ci vogliono le virgolette perché non siamo certo a livello di best seller... siano almeno tre. In primo luogo, l'aver tenuto presente, in fase di scrittura, le esigenze dei lettori oltre alle mie richieste espressive; avere cioè considerato i requisiti di leggibilità, costruito una suspense e così via, e tutto questo consapevolmente. In secondo luogo, l'aver limitato le mie ambizioni all'offerta di un divertimento non banale, in cui le allusioni a una cultura "alta" restano, per l'appunto, delle allusioni, e non prevaricano la costruzione della storia. In terzo luogo, aver prestato una cura particolare nel dare ai miei personaggi, inclusi quelli secondari, uno spessore psicologico e umano. Molto spesso, nella letteratura popolare è quest'ultimo elemento quello che manca.
D: Lei, dunque, si considera uno scrittore "popolare"?
R: È quello che vorrei diventare, purché si precisi che "popolare" non allude alla fama o al consenso (i limiti ristrettissimi della fantascienza in Italia non consentono né l'una né l'altro), bensì all'adesione ai canoni di una letteratura di genere che non aspira a evadere dai propri limiti. In parole povere, sono ben consapevole del fatto che i romanzi che scrivo non sono dei capolavori e che non lasceranno traccia nella storia letteraria del nostro paese. In questo senso, i ricorrenti parallelismi che vengono fatti con Il nome della rosa sono del tutto fuori luogo, e si basano solo su elementi secondari: l'ambientazione medioevale, la presenza di un inquisitore. Punto e basta. Fin dall'inizio ho puntato all'edicola, tanto che anche di recente ho rifiutato di presentare in volume il ciclo di Eymerich. Aderisco in pieno a un'affermazione di Rex Stout, il creatore di Nero Wolfe, che parlando di sé stesso si definiva "narratore e non scrittore". D'altra parte, la scelta della serialità esclude in partenza ogni più vasta ambizione. È una condizione che va vissuta senza complessi: a ottant'anni di distanza, tutti ricordano Fantomas e Arsenio Lupin, anche se Marcel Allain, Pierre Souvestre e Maurice Leblanc sono completamente dimenticati. Allo stesso tempo, a chi va la palma della vera immortalità? A D'Annunzio o a Salgari? Quello della letteratura popolare è un ghetto, ma un ghetto dorato. Uno dei privilegi della fantascienza è quello di esserci finita.
D: Com'è, oggi, il suo rapporto con la fantascienza italiana?
R: Per ora ho un numero ristretto di amici carissimi sia fra gli autori che fra gli editori. Il fatto di scrivere cose abbastanza anomale e di avere avuto una "carriera" molto rapida (se si guarda alla parte emergente dell'iceberg rappresentato dal mio lavoro) fa però sì che per il momento io non appartenga organicamente a quel mondo. Ciò non implica assolutamente una sottovalutazione, da parte mia, della fantascienza italiana, da cui sono usciti almeno due scrittori a tutto tondo: Lino Aldani e Vittorio Curtoni. A questi potrei aggiungere Vittorio Catani, Mauro Miglieruolo e altri ancora. La loro individualità era ed è, però, tanto spiccata da non consentire la fondazione di un "genere". I nomi che ho citato appartengono a scrittori nel senso pieno del termine, che hanno fatto della fantascienza il veicolo della loro espressività. Se in Italia non godono del riconoscimento che meriterebbero, è solo perché hanno scelto di muoversi in un ambito marginale e, almeno fino a tempi recenti, ghettizzato. Il mio modestissimo contributo alla causa della fantascienza nostrana sta nell'aver dimostrato, sia agli editori che al pubblico, che un nome italiano non è di per sé un handicap, neanche in un campo a egemonia anglosassone. Vittorio Catani mi ha detto di avere constatato di persona, dopo la mia apparizione, gli effetti dell'abbattimento del muro dell'anglofilia. Se ciò è vero, vado molto orgoglioso del risultato.
D. C'è qualche elemento dei suoi romanzi che ci terrebbe a sottolineare?
R: Sì, ed è la loro valenza politica. A tutta prima non traspare, per cui ricorrerò a un esempio. Nell'ultima avventura di Eymerich apparsa in edicola, si parla del ricorso alle bombe "fuel-air", da parte degli alleati, durante la guerra del Golfo. Un'arma atroce, paragonabile a una piccola atomica ma con effetti persino più crudeli. Bene, di questo autentico crimine contro l'umanità avevano finora parlato in Italia solo Avvenimenti e Il manifesto. Adesso, qualche migliaio di lettori delle avventure di Eymerich ne sono informati.

BOX

Valerio Evangelisti vive e lavora a Bologna, dove è nato nel 1952. A Nicolas Eymerich ha dedicato cinque romanzi, di cui due, Eymerich: la quinta essenza e Le correnti di Eymerich, sono ancora inediti, mentre gli altri sono stati pubblicati su Urania a partire dal 1994: Nicolas Eymerich, inquisitore (Urania n. 1241), Le catene di Eymerich (n. 1262) e Il corpo e il sangue di Eymerich (n. 1281). Due suoi racconti sono inoltre apparsi sul n. 1281 di Urania e sul n. 15 dell'edizione italiana dell'Isaac Asimov's Science Fiction Magazine. Oltre alla narrativa, Evangelisti è anche autore di saggi storici e redattore della rivista fantastica Carmilla e della pubblicazione aperiodica Progetto Memoria - La Comune, dedicata alla storia delle culture antagoniste. I numeri di Urania non più reperibili in edicola possono essere richiesti all'Ufficio Collezionisti della casa editrice Mondadori, tel. 02-5272008.

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